30.06.2021 ・ Advocacy team

Isolati e controllati: un aggiornamento sulla situazione dei richiedenti asilo in Grecia

In Grecia la pandemia si è rivelata un’ottima scusa per aumentare le violazioni dei diritti umani e inasprire le leggi che prendono di mira i migranti e i richiedenti asilo. Mentre il Paese entrava e usciva dal lockdown, la situazione per le persone che vivono nei campi è rimasta sempre la stessa: per un anno e mezzo sono stati ammessi solo spostamenti minimi e ancora oggi nei campi il coprifuoco è alle 9 di sera. Da marzo 2020 la Guardia Costiera greca, con il supporto dell’agenzia europea Frontex, è stata coinvolta in continui e violenti respingimenti nei confronti dei richiedenti asilo che arrivavano dalla Turchia attraverso i viaggi in mare o attraversando la frontiera. Lo scopo è naturalmente sempre quello di ridurre il numero degli arrivi.

Nel frattempo l’Unione Europea ha finanziato la costruzione di muri alti 3 metri e di un sistema di recinzioni tutto attorno ai campi di accoglienza a lungo termine (che sono diversi dai centri di accoglienza e identificazione) nella Grecia continentale.

A partire dal primo luglio 2021, rifiutare di essere ospitati in questi campi o in altre strutture organizzate dal governo porterà i richiedenti asilo a perdere il sostegno economico che la UE garantisce loro. Inoltre, tre settimane fa un decreto congiunto dei ministri degli esteri e della migrazione greci ha designato la Turchia come paese terzo sicuro per i richiedenti asilo che provengono da Afghanistan, Somalia, Pakistan e Bangladesh. Chi si muove da questi paesi, dunque, non potrà essere preso in considerazione per la richiesta d’asilo, ma verrà automaticamente respinto secondo l’assunto che la Turchia sia un terzo paese sicuro per loro. Questo sistema è già stato applicato a partire dal 2016 ai richiedenti asilo che provengono dalla Siria e ha costretto centinaia di persone in una sorta di limbo legale: la Turchia, infatti, non accetta più deportazioni dalla Grecia dal marzo 2020.

 

Il campo di Moria e Lesbo dopo l'incendio

Prigioni per innocenti

Le Ong e gli attivisti dei diritti umani continuano a essere nel mirino: sull'isola di Hydra, una giornalista olandese è stata arrestata per aver ospitato un richiedente asilo afgano. Anche sulle isole la situazione si sta deteriorando. Dopo l'incendio del campo di Moria a Lesbo lo scorso settembre, l'UE ha erogato 278 milioni di euro alle autorità greche per costruire 5 nuovi campi nelle isole dell'Egeo che ospitano centri di accoglienza e identificazione.

I nuovi campi sorgono in luoghi remoti, e definiti dalle autorità greche come "chiusi e controllati". Samos sarà il primo ad aprire: sarà situato a 8 km dalla città, in una piccola valle con temperature torride d'estate e freddi inverni. Nel campo mancano ancora le attrezzature minime, ma è già stato dotato di una doppia recinzione stile Nato che lo fa assomigliare più a una prigione che a quello che dovrebbe essere: un centro di alloggio per persone – bambini compresi – che non hanno commesso alcun crimine.

Le autorità vogliono trasferire le persone nel nuovo campo il più presto possibile, ma il sovraffollamento dell'attuale campo di Vathi sta rendendo tutto difficile. Per risolvere il problema, oltre a impedire l'arrivo di nuovi arrivati respingendoli brutalmente e illegalmente in Turchia, sono stati usati anche altri strumenti. Negli ultimi mesi le richieste di asilo sono state negate con più celerità e ora che la Turchia è stata considerata un paese sicuro per i cittadini afghani e siriani (che, insieme, costituiscono il 48% dell'attuale popolazione del campo) ci aspettiamo che i rifiuti arrivino ancora più velocemente. 

Oltre a questo, in modo molto poco chiaro e molto informale, a Samos sono circolate voci che per un paio di settimane la guardia costiera non abbia bloccato le persone con restrizione di movimento che vogliono salire sul traghetto per Atene. Esausti da mesi e anni di vita nel limbo in condizioni orribili, molti hanno colto l'occasione. Tuttavia, lasciando l'isola illegalmente, ora si trovano completamente fuori dal sistema: la loro richiesta di asilo rimane a Samos, non hanno accesso all'accoglienza e sono a rischio espulsione o prigione se vengono catturati dalla polizia.

Il governo continua a vantarsi di aver "abbassato drasticamente il numero" di persone che vivono sulle isole. Anche se questo è tecnicamente vero, non hanno risolto il problema ma lo hanno solo spostato ad Atene e nella Grecia continentale, dove centinaia di persone, compresi donne e bambini, vivono in strada.

A Samos la situazione per coloro che sono rimasti nel campo è terribile. Mentre vedono alcune persone lasciare l'isola, temono il trasferimento nel nuovo campo. Sarà isolato e non è ancora stato chiarito come funzionerà il trasporto da e per la città: la commissaria UE per gli affari interni definisce questo campo un "Centro multifunzionale", ma un posto in mezzo al nulla, dove si vive in un container e non si può arrivare da nessuna parte è davvero una prigione.

Quale futuro

Nell’ultima settimana ci sono stati molteplici casi di autolesionismo e tentativi di suicidio nell’hotspot di Samos, così come un aumento della violenza tra i residenti del campo. Le persone che vivono qui sono fuggite da guerre, persecuzioni e dittature: sono venuti in Europa per essere liberi, e finiranno in un campo simile a una prigione senza aver commesso alcun crimine.

Non sappiamo cosa succederà nel breve futuro. Still I Rise continuerà a fare tutto il possibile per garantire supporto ai nostri studenti fuori dal campo, ma dobbiamo anche prendere in considerazione la possibilità che presto potrebbe non essere più possibile continuare ad operare a Samos.

Abbiamo il cuore spezzato. Vediamo la storia ripetersi davanti ai nostri occhi con il pieno sostegno non solo del governo greco ma anche dei leader europei. 

La situazione raccontata da Giulia Cicoli

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