Daraa, nel sud della Siria, è sotto attacco delle forze del regime di Assad.
Circa 55.000 persone sono sotto assedio a Daraa-al-Balad e - secondo i dati dell'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) - almeno 24.000 persone sono già scappate, rifugiandosi soprattutto da amici e parenti nelle zone vicine.
L'ospedale è stato colpito, lasciando senza cure mediche le persone con malattie croniche. L'unica strada che porta in città è controllata da forze del regime, che hanno tagliato le forniture di acqua, elettricità e internet - anche far entrare cibo o medicine è praticamente impossibile. A causa della forte crisi economica in Siria, le famiglie facevano già fatica a procurarsi i beni di prima necessità prima dell’assedio. Ora che i prezzi di cibo e merci sono aumentati vertiginosamente, sempre più persone vivono in condizioni di povertà assoluta.
Situata in una zona strategica, la città di Daraa è dove è iniziata la rivolta contro il regime di Assad nel 2011.
Dal 2015, quando la Russia è intervenuta nella guerra siriana a sostegno del regime, Assad ha ripreso il controllo di molte parti della Siria assediando le città e uccidendo o arrestando chiunque si sia ribellato contro di lui.
Daraa è diversa. Il regime siriano ha ripreso la zona nel 2018 attraverso un accordo di riconciliazione mediato dalla Russia che ha interferito con gli interessi iraniani nell’area. La regione è infatti molto strategica: l'area confina con la Giordania e le alture del Golan occupate da Israele, per i quali la possibile presenza di forze militari iraniane o filo-iraniane costituisce una grande fonte di tensione.
Per evitare che Giordania, Israele e altre potenze internazionali ostacolassero il ritorno del regime nella zona, la Russia è intervenuta come mediatore stipulando accordi con le diverse parti. Questi accordi hanno stabilito che le forze iraniane e filo-iraniane non debbano essere ufficialmente presenti nell’area e hanno diviso la regione in due parti: la parte settentrionale sarebbe caduta sotto il controllo di Assad, mentre ai ribelli sarebbe stato permesso di rimanere nella parte meridionale (Daraa-al-Balad) in cambio della rinuncia alle armi pesanti e del ripristino delle istituzioni statali nella regione.
Ma, già a partire dal 2018, le tensioni in quest’area sono cresciute a causa delle violazioni costanti di questi accordi da parte di tutte le parti coinvolte: alcuni combattenti ribelli sono stati arrestati e posti in stato di detenzione, le forze iraniane e filo-iraniane si sono insediate nella zona, e numerosi rapimenti e omicidi sono stati compiuti da entrambe le parti.
L’escalation è continuata fino a maggio, quando molte persone nella provincia di Daraa hanno apertamente boicottato le elezioni mentre Assad ha deciso di andare a votare proprio a Daraa.
Queste proteste sono state viste come un affronto all’autorità di Assad. Nel tentativo di rafforzare il proprio controllo sulla zona, le forze del regime hanno quindi imposto ai residenti di Daraa-al-Balad di consegnare le loro armi leggere e hanno richiesto di poter perquisire le case della zona. Al rifiuto delle autorità locali, il 25 giugno il regime ha risposto con un assedio su Daraa-al-Balad, tagliando approvvigionamenti, acqua ed elettricità.
La settimana scorsa all’assedio è seguita un’offensiva di terra, in cui sono morte 23 persone. I ribelli hanno reagito e sono riusciti a riprendere il controllo di molti posti di blocco militari. Da lì è iniziato l’ennesimo round di negoziazioni, che però si prevede estremamente fragile. Il regime infatti pretende il controllo totale della zona, una condizione impossibile da accettare per i ribelli perché per loro questo significherebbe andare incontro alla morte o all’esilio.
Come sempre, sono i civili a pagare il prezzo delle guerre.
Se l'assedio non finisce e il regime continua con la sua offensiva, le persone intrappolate a Daraa-al-Balad non avranno la possibilità di scappare e verranno lasciate a morire. Il confine con la Giordania (che ospita già più di 1 milione di rifugiati siriani) è chiuso, quindi l'unica potenziale opzione per loro sarebbe il nord-ovest della Siria, dove però già più di 4 milioni di persone vivono in condizioni incredibilmente precarie.
Il conflitto in Siria è da tempo un terreno di gioco per gli interessi di diverse potenze internazionali. Nonostante sia gli Stati Uniti che l'Unione Europea abbiano rilasciato dichiarazioni che chiedono a tutte le parti coinvolte di "evitare escalation e ristabilire la calma" e di permettere l’accesso ad aiuti umanitari nella zona, da più di 10 anni ormai Assad continua ad assediare le città costringendo i civili a fuggire o morire senza impunità.
Tutto quello che possiamo fare è solo sperare che Daraa non diventi l'ennesimo massacro per mano del regime.